Dottore, cosa mi prendo per i miei disturbi?
” Dottore, cosa mi prendo per i miei disturbi? ” è la frase che meglio rappresenta il degrado del rapporto medico paziente. Presupporre che la soluzione alla malattia sia in una pillola è almeno ingenuo. Con tutto il rispetto per l’efficienza dei rimedi, l’atto medico deve coinvolgere la persona nella sua complessità. Secondo la definizione scientifica , il farmaco infatti deve essere lo stesso per tutti i pazienti con una identica malattia. Purtroppo però i malati della stessa identica malattia, sono persone totalmente dissimili fra loro. Inoltre la relazione medico paziente non dovrebbe essere costruita primariamente intorno allo scopo di inserire una pillola nel corpo del paziente. Il corretto rapporto è una consulenza profonda, tesa prima a comprendere il malato, successivamente ad accompagnarlo nel complesso lavoro necessario per uscire dalla malattia. Una relazione corretta tra medico paziente presuppone pertanto tempo e implica indicazioni sullo stile di vita, alimentazione, ambiente e gestione emozionale oltre che una pillola. La riduzione di questo complesso lavoro a ” Dottore ,cosa mi prendo per i miei disturbi? ” non concede spazio e tempo alla esecuzione di un atto medico. Chiedere che la soluzione rapida e totalmente disimpegnata, legittima un atto medico che si estrinseca e conclude nella sola prescrizione di una pillola. .
Il ” Dottore ,cosa mi prendo per i miei disturbi? ” non si osserva soltanto negli studi e ambulatori. Purtroppo un paziente manifesta tutta la propria fragilità culturale quando pone la domanda inquietante nei corridoi, in ascensore, in occasioni sociali, per telefono ovvero in pratica ovunque tranne nel luogo idoneo ad espletare l’atto medico. Il SSN Sistema Sanitario Nazionale ha inoltre già predisposto che un dottore possa avere notevoli difficoltà ad espletare un atto medico, comprimendo a livello contrattuale il tempo e lo spazio da dedicare al singolo paziente. Anche la formazione di un medico e la ricerca su cui si basa , esclude tutti i contenuti che esulano dalla chirurgia e dai farmaci. L’organizzazione della sanità è stata molto sensibile alle pressanti richieste delle aziende produttrici di farmaci, configurando l’atto medico come un qualcosa che si consuma velocemente con una attenzione primariamente rivolta alla prescrizione di prodotti. In tale infelice organizzazione del lavoro, il dottore non esprime più pienamente il suo ruolo. L’atto medico si trasferisce altrove.
Altro elemento che banalizza l’atto medico fino a destrutturarlo è la sostituibilità del medico accanto alla insostituibilità del farmaco. Questo concetto è partorito da chi si avvicina al malato per scopi talvolta difformi dalla cura. La relazione medico paziente è primariamente connessa al personale rapporto tra i due. Quando questo rapporto si interrompe , l’atto medico è sospeso o peggio decade. Non a caso in Italia, il medico del SSN che gode di maggiore fiducia è quello di famiglia. Egli è l’unico che nel bene o nel male garantisce un rapporto continuativo. Ovviamente la continuità del rapporto è una ottima premessa, ma non è sufficiente a consentire la piena esecuzione di una atto medico. Questa corretta esecuzione includerebbe infatti il malato oltre che la sua malattia. L’atto medico è oltre la semplice somministrazione di una pozione e implica gestione dello stile di vita, gestione emozionale e conflittuale. Si tratta di un processo complesso, impegnativo e oneroso. La pillolina invece in futuro purtroppo non molto lontano sarà somministrata da un intelligenza artificiale. L’atto medico oggi banalizzato, rischia successivamente di estinguersi.
Il ” Dottore ,cosa mi prendo per i miei disturbi? ” è una domanda profondamente errata. Essa legittima un comportamento teso primariamente alla prescrizione di pillole anche in quei sanitari che sono ricalcitranti al progressivo impoverimento dell’atto medico. L’atto medico sottratto alla relazione medico paziente si trasferisce altrove. Le decisioni rilevanti per la salute delle persone sono prese in luoghi inopportuni da persone che neppure conoscono la persona malata. Alla luce di queste evidenze il ” Dottore ,cosa mi prendo per i miei disturbi? ” dovrebbe essere sostituito con la ricerca personale e onerosa del medico che espande la coscienza, autonomia e il libero arbitrio del malato. Al medico ci si rivolge sopratutto per tutto ciò che è possibile fare oltre alla semplice prescrizione di pillole. Il medico non avrà infatti mai una qualità maggiore delle domande che gli pone il paziente. Solo attraverso un processo di maturazione dei pazienti sarà pertanto possibile sperare un in recupero della centralità dell’atto medico nella gestione della salute.