Nuovi farmaci un dogma sempre più costoso

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Nuovi farmaci, un dogma sempre più costoso

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La società americana di oncologia organizza agli inizi di  giugno a Chicago da anni il più grande evento mondiale dell’oncologia. Dai lavori di questo evento, si evince quando fosse ancora necessario, che il dogma imperante  nella  lotta al cancro è costituito è la ricerca di nuovi farmaci, peraltro costosissimi. La spesa per questi nuovi farmaci stà infatti esplodendo e rischia di provocare un avvitamento severo della crisi economica in atto. I farmaci impegnanti in oncologia rappresentano un capitolo di costo consistente per i sistemi sanitari. Il trend è preoccupante e si stima che  tali nuovi farmaci possano  costituire la prima voce di spesa farmacologica nei paesi industrializzati. Il paradosso del dogma imperante non è solo finanziario, se si osserva che sono poprio i cittadini nei paesi industrializzati  con sistemi sanitiari evoluti a patire l’aumento dei casi di cancro. Nessun altro approccio oltre quello farmacologico è seriamente valutato, come per esempio la cura dell’ ambiente e della qualità della alimentazione.

Riuscire a garantire l’accesso ai nuovi farmaci a tutti i pazienti è una questione centrale, che non si risolverà mai con una moderazione nella richiesta di compensi da parte dei gruppi chimici che li producono. L’etica nell’ atto medico è richiesta purtroppo solo al medico e mai a chi produce farmaci necessari per compierlo. In questo strano paradosso logico, si arriva a proporre risparmi su servizi essenziali alla salute  o alla protezione sociale per poter remunerare i colossi della chimica in relazione alla fornitura dei nuovi farmaci miracolosi.  Altrettanto paradossale è la richiesta di evitare sprechi determinati da trattamenti di non comprovata efficacia, esami e test diagnostici non appropriati. La ricerca medica nel campo della oncologia e non solo è una ricerca costosa, che i governi non riescono o non vogliono finanziare.  Pertanto alla scienza i finanziamenti arrivano quasi esclusivamente da gruppo finanziari che investono in essa e giustamente come tutti gli investimenti cercano non solo successivamente un profitto. Certamente se la scienza è finanziata si pone l’interrogativo di quanto possa ancora oggi definirsi veramente scientifico un processo conoscitivo quando è  accettata una interdipendenza con interessi di tipo finanziario.

I problemi che derivano da questo approccio alla ricerca e alla scienza sono enormi e sostanzialmente riconducibili a due difetti macroscopici. Il primo difetto: per ricompensare l’investimento finanziario nelle ricerca medica sono necessari diritti di brevetto, che nei paesi industrializzati sono consentiti a farmaci, ma non ad altre forme di  terapia. Il secondo difetto: i diritti di brevetto a farmaci sono consegnati a gruppi economici  che interagiscono in vario modo anche con la produzione di quelle sostanze chimiche che definiamo cancerogeni. Il secondo difetto è più grave del primo, perchè ingenera un interesse rilevante a contiunare a sporcare l’ambiente e la catena alimentare in tutto il pianeta, ma sopratutto nei paesi più ricchi. Ogni malato di neoplasia e sono purtroppo tanti e troppi, spera nell’arrivo di nuovi farmaci che possano alleviare la sua sofferenza e guarirlo. Purtroppo la giusta richiesta del malato sarebbe onorata se i nuovi farmaci, indipendentemente da tutte le giustificazioni che si adducono per dire il contario, avessero un costo appropriato. I processi di validazione scientifica dei nuovi farmaci dovrebbero essere indipendenti dalle aziende che li producono. La scienza infine non dovrebbe limitare il suo sguardo alla ricerca di nuovi farmaci, ma estenderlo anche alla bonifica ambientale, della catena alimentare e agli strumenti di terapia non connessi a diritti di brevetto.

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